Narra una leggenda che Ludovico il Moro, gran signore di Milano nel Quattrocento, avesse organizzato un sontuoso banchetto per festeggiare il Natale. Il suo cuoco però bruciò il dolce nel forno. Disperato, era già pronto alle carceri ducali quando il suo sguattero, che si chiamava Toni, creò sul momento un nuovo dolce con quel che era rimasto in cucina: un po’ di impasto lievitato, canditi e uvetta. Il successo fu clamoroso e alla domanda di come fosse nata quella prelibatezza il cuoco rispose onestamente: «L’è ‘l pan del Toni». Cioè il “panettone”.
Secondo lo storico Pietro Verri, fin dal Medioevo a Milano si usava preparare “pani grandi” per il giorno di Natale, quando il capofamiglia li divideva tra tutti gli invitati, in un gesto che ricordava quello dell’eucaristia. L’usanza di farcire il “pane grande” o “panettone” con uvetta e canditi è segnalata per la prima volta attorno al 1500.
Attorno agli Anni 20 del Novecento le pasticcerie Motta e Alemagna di Milano introdussero l’uso di una guaina di carta oleosa alla base del dolce, che rimaneva poi incollata all’impasto a fine cottura. Questo per creare il panettone “a fungo” (cioè con la forma che poi si è imposta come la norma), più alto e soffice.
Gli italiani sono i maggiori consumatori al mondo di panettone. Ma il dolce, grazie agli emigranti, è diffuso anche in Argentina, Uruguay, Brasile e soprattutto in Perù, dove ha perso i connotati “natalizi” e si mangia tutto l’anno.
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